Wednesday, November 13, 2013

Chissà se la società del futuro...


# 8.

Chissà se la società del futuro riuscirà a risollevarsi dalla catastrofe culturale, invisibile agli occhi dei molti, in cui è stata precipitata la società contemporanea e chissà se, riuscendovi, sarà anche capace di ricostruire una storia del nostro tempo, comprendendo quali sono stati i veri colpevoli di questo disastro, scovando quali tra i nostri ciambellani sono stati quelli maggiormente responsabili dello sfacelo umano e culturale che ha abissato il nostro mondo. Chissà se i posteri sapranno dare un nome alla volontà di potenza dei molti i quali, cedendo agli argomenti che più gli assomigliano, hanno solo accelerato il processo di disfacimento con cui piccoli condottieri ciechi si sono messi alla testa di questa società del contrario. Quantomeno, coloro che prima di quest’epoca hanno fornito gli strumenti concettuali di cui i contemporanei si servono come armi, avevano dalla loro parte l’onestà intellettuale in ciò che facevano e credevano; sbagliavano forse, ma senza malizia o, più semplicemente,  sono stati volutamente o artatamente fraintesi (pensiamo come soli grandi esempi a Bacone o Cartesio che vengono oggi brutalizzati e banalizzati solo per asservire le loro filosofie alle voglie ed alle miserie dei contemporanei).

I nostri ciambellani, diversamente da altre epoche, sono invece mille e mille volte colpevoli e complici attivi e malevoli dell’annientamento umano e culturale del nostro mondo. Altro che l’attizzatoio di Wittgenstein ci vorrebbe per questi! Nel giro di una manciata di decenni la nefasta influenza di questi chierici chiamati a pensare per concorso pubblico è riuscita a trasformare gran parte della cultura in ciarla, rumore o basso inganno.  Quando ancora capita di considerare gli scritti del passato ne fanno materia del loro ruminare o li si legge come se fossero stati vergati appena ieri da un qualunque gazzettiere del nostro infame presente: siccome siamo un’epoca d’intrallazzatori, di semplificatori e cospiratori, pensiamo che tutte le epoche abbiano condiviso la nostra miseria e per questo si tacciano i grandi del passato e si esalta la mediocrità non appena appaia sotto una qualunque cappa o da un qualunque schermo. Saranno allora i posteri in grado di liberarsi da queste catene di mediocrità, banalità, conformismo e miseria umana che affliggono e atterrano la società contemporanea tornando nuovamente a vedere la luce della paideia? Come faranno? Dove troveranno le forze necessarie ad un risveglio culturale autentico? Chi gli darà una mano quando il processo di omologazione e distruzione dell’uomo e della cultura avrà raggiunto forme capillari e universali? Forse che l’homo novus si troverà d’un tratto solo, perduto in quest’immensa solitudine fatta di cose e parole vuote e sentirà nuovamente il bisogno di parole vere? Sarà allora proprio quell’umanità che stiamo cercando di uccidere in noi a rappresentare il risveglio? Sarà il momento in cui l’uomo tocca il fondo della barbarie anche il momento in cui si rende conto che la sua umanità ha bisogno di qualcosa d’altro dei biechi panem et circensem? Ma come potrà avvenire tutto questo? È ragionevolmente plausibile credere che l’homo novus, mentre se ne sta sdraiato sul lido di Ostia o su una spiaggia di Cancun, tutto preso a discettare con voce profonda delle sue valigie, della sabbia sulla sdraio, del suo anus e del tempo, sentirà d’un tratto il bisogno di qualcosa d’altro? Ma da dove dovrebbe mai venirgli questo bisogno che ormai non sa più neppure di avere? Forse l’antica anima umana dovrebbe d’un tratto riscattarsi e, in un moto di ribellione verso coloro che vogliono da sempre accecarla, riaccendere la luce nel buio che si è fatto intorno? Chissà… È questa una speranza plausibile? Ma anche ammettendo che questo sia uno scenario probabile, bisogna davvero aspettare di raggiungere il fondo per tornare alla vita vera? Oppure anche la specie umana, come succede ed è già successo con innumerevoli altre specie, finirà i suoi giorni in un assoluto silenzio di sé?

(Sergio Caldarella, Appunto # 8. © 2013)