Tempo addietro, a gente come Luciano Canfora ed alle sue
rivalutazioni di cattivo gusto della figura di Stalin, ai revisionisti, i
negazionisti ed ai troppi ideologhi dell’epoca contemporanea, si sarebbe
facilmente potuto dire che gli ha già risposto la storia, ma per come stanno
ormai le cose, non possiamo più dirci così sicuri di questo. Esistono, oggi, i
mezzi e l’apparato per poter fattivamente trasformare il passato a nostro
piacimento o quasi, tanto quanto viene già trasformato il presente a favore di
chi detiene i mezzi, ossia di coloro che si trovano nei vari centri di potere
oligarchici della società globale contemporanea. La trasformazione ideologica
della realtà cui assistiamo quando abbiamo o possiamo far ricorso ad una
lettura autenticamente culturale del mondo e ad una visione delle cose non
determinata unicamente dalle versioni offerte o prodotte dall’ufficialità e dal
potere, si dimostra nella sua realtà di mero costrutto realizzato per favorire
e privilegiare un determinato progetto di controllo politico. Quando si legge
la storia attraverso le sue inerenti complessità ma, soprattutto, attraverso il
ricorso ai fatti ed alle testimonianze dirette, ci si accorge che la
trasformazione ideologica della realtà, ridotta ad un mero costrutto
determinato secondo l’arbitrio di alcuni al potere, avviene anche in casi
evidenti e lapalissiani: vedi ad es., l’ideologia diffusa secondo cui
l’economia di mercato viene vista come un fattore endemico e naturale alle
società storiche e persino alla democrazia, mentre si tratta di una
volgarizzazione del discorso storico smascherata in particolare anche grazie
agli studi di Karl Polanyi. In uno scenario siffatto, tale preoccupazione per
la sopravvivenza di un discorso storico-culturale serio e scevro da arbitri e volontà
di potenza si rivela indubbiamente legittima.
Allo stato attuale, non saranno certo dei contributi
online o delle pubblicazioni a margine dell’industria culturale e dell’apparato
di controllo sociale a poter influenzare la direzione ideologica e manipolativa
intrapresa dalle società attuali. Questa tendenza è, inoltre, sostanzialmente
distruttrice di quello che, fino a pochi decenni addietro, veniva detto il
patrimonio culturale della nostra specie – non a caso, oggi, quando si invoca
il termine “patrimonio culturale”, questo viene riferito, in genere, unicamente
a reperti, edifici, manufatti e opere artistiche varie, ossia a quell’aspetto
muto della cultura. Per quanto possano essere belli ed artisticamente
affascinanti gli affreschi rinascimentali, le cattedrali gotiche, i centri
storici barocchi o gli erbari medievali, questi non posseggono però una loro
lingua autonoma, ossia non “parlano” come fanno invece i libri i quali
contengono il pensiero vivo dei grandi maestri e le testimonianze dirette che
ci provengono dal passato. La chiave di volta è qui il discorso sul passato di
cui l’ideologia si è appropriata da tempo. Senza gli storici seri ed eticamente
dedicati al loro lavoro, ci resterebbero soltanto i ciarlatani mercenari della
cultura ufficiale che è, poi, soltanto il triste megafono del potere.
(Sergio Caldarella, Appunto # 15. © 2019)